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Leggi anche Le 5 ferite emotive

Quando si riceve una ferita fisica il corpo la ripara con una cicatrice, con un tessuto più duro e resistente, per difendersi meglio contro futuri attacchi.

Noi siamo portati a fare la stessa cosa con le ferite emotive. Formiamo cicatrici, talvolta “corazze”, attuiamo comportamenti di evitamento per autoproteggerci.

Come una cicatrice, la nostra difesa emotiva può crescere troppo e invece di proteggerci da una ferita, ci allontana da tutti, talvolta anche da noi stessi. All’opposto, può renderci più vulnerabili proprio a ciò che temiamo.

La persona con cicatrici emotive si vive come mal accettato, indesiderato, non capace e considera il mondo come ostile, eccessivamente richiedente. I suoi contatti con gli altri non sono basati sullo scambio reciproco, dare e avere, sulla cooperazione e collaborazione, ma sulla competizione, sulla difesa, sulla distanza. Non provando amore, fiducia e comprensione verso gli altri, il prezzo che paga è aggressività, frustrazione e solitudine. 

Esistono 3 caratteristiche che ci rendono più resilienti rispetto alle ferite emotive:

  1. Avere una sufficiente stima di sé. Chi si offende facilmente, chi prevarica sente che piccole cose possono ferirlo. Attua comportamenti per far sapere all’altro che deve tenersi lontano: lontano dal dire cose che lo faranno soffrire, lontano dal fare azioni che lo porteranno a comportamenti aggressivi. Chi ha una stima di sé sufficientemente buona non si sente minacciato da piccole cose, o dalla presenza dell’altro.
  2. Essere responsabili e fiduciosi. Anche se chi ha una corazza non lo mostra, ha un cuore tenero che vuole essere amato e desidera fare affidamento sugli altri. La persona che si riveste di freddezza e di durezza lo fa perché sente di essere debole dentro e di aver bisogno di protezione. La persona che dipende dagli altri sente che la vita le deve amore, considerazione e stima. Richiede questo anche in modo irragionevole e si sente tradita, oggetto di torti, ferita quando questo non avviene.  Chi si fida sinceramente di sé, e non solo di sé, sente di potersi fidare anche degli altri, non ha un bisogno impellente di essere amata e approvata. Si sente sicura di poter sopportare che un certo numero di persone non la ameranno, e approveranno. Si sente responsabile nella vita perciò agisce, dà, persegue ciò che desidera e non riceve passivamente i doni che la vita vorrà darle. E’ importante sviluppare un atteggiamento più fiducioso, assumersi la responsabilità della propria vita e delle necessità emotiva; cercare di dare amore, comprensione, approvazione.
  3. Potersi rilassare. Le sensazioni di offesa, rabbia ecc sono delle reazioni emotive agli eventi. Noi non abbiamo potere sull’emergere delle emozioni, ma possiamo decidere cosa fare con quello che proviamo. Ascoltarle, sentire che le emozioni sono lì per noi e non contro di noi, e poi agire per rispondere al bisogno che ci segnalano, porta ad uno stato di rilassamento. Le emozioni si sentono con il corpo. L’attivazione emotiva porta ad una tensione in qualche parte del corpo. Riconoscere quella tensione e rilassarla, aiuta anche a stare nell’emozione, senza venirne per forza feriti. Può essere utile imparare il Training autogeno, la Mindfulness, praticare yoga.

Cosa si può fare per le vecchie cicatrici emotive che si sono già formate?

Innazitutto si deve capire per quale ferita emotiva soffriamo. Può essere una o più di una. Le più diffuse sono: abbandono, tradimento, ingiustizia, rifiuto e umiliazione.

Il secondo passaggio consiste nel riconoscere le emozioni che più ci attivano rispetto alla nostra ferita e i pensieri negativi che facciamo su di noi e sull’altro.

Il terzo passaggio è rinunciare a vendicarsi direttamente, cioè ferendo a nostra volta l’altro, o indirettamente, cioè parlando male dell’altro, o con comportamenti passivo-aggressivi.

Rinunciare alla vendetta non calmerà le emozioni. L’unico modo per portare totalmente pace è perdonare ed elaborare emozioni e pensieri negativi.

Esistono alcune idee sbagliate su cosa sia il perdono. Le trovi in questi due brevi video.

Per perdonare si deve:

1 riconoscere che c’è stato fatto qualcosa che merita di essere condannato

2 imparare a distinguere le azioni dell’altro dall’intera persona

3 smettere di condannare anche se stessi col rimpianto, o con rimproveri

4 capire cosa ha portato l’altro a ferirci, quindi conoscere la sua storia e il suo

5 contesto riconoscere che come noi commettiamo errori, anche gli altri lo fanno. E’ bene pensare agli errori come qualcosa che è stato fatto, e non come qualcosa che fa la persona. Gli errori, le azioni non ci definiscono come persona.

6 scegliere di perdonare

Dr.ssa Luigina Pugno

Bibliografia:

R. Enright Il perdono è una scelta, ed. Salus Infirmorum

M. Maltz psicocibernetica, ed. Astrolabio (cap. 10)

Il perdono è un sentiero tortuoso dove ci sono pochi riferimenti per orientarsi e molte insidie. E’ un sentiero che attraversa l’animo di ogni essere umano dove la luce si trova in superficie, quando si emerge dall’oscurità delle emozioni frutto dell’ingiustizia subita. Non è un sentiero che si può percorrere agevolmente da soli, per affrontarlo dobbiamo mettere la nostra mano nella mano di qualcun altro: Dio, uno psicoterapeuta, o un amico saggio.

Le parole hanno una loro storia passata e avranno una loro storia futura, ecco la storia della parola perdono.

In principio la parola perdono non esisteva, esisteva il termine latino donumche derivava dalla radice indoeuropea , che indica uno scambio disinteressato di cose. Donare significherebbe inizialmente dare, nel senso di scambiarsi qualcosa.

Esistono doni che non possono essere ripagati equamente, come il dono della vita. Questo tipo di doni genera nell’altro un debito. Il dono diventa così asimmetrico, ma lo è anche ogni debito che non si è in grado di restituire.

Così, come nella parabola di Matteo dei due debitori (MT 18,23-35) che non potevano saldare il loro debito, si aprono due vie: applicare la giustizia simmetrica, cioè la punizione, oppure condonare il debito.

Successivamente al dono, nasce dal verbo donare il termine con-dono. La preposizione con aggiunge alla parola dono il significato di ripetizione, la ripetizione del dono iniziale, con il con-dono si dona due volte. Con questo secondo dono si può cancellare il debito.

Quando il debito verso l’altro non riguarda più beni materiali, ma una colpa etica di cui ci si è macchiati commettendo un’ingiustizia, si entra nell’ambito del per-dono.

Non è facile sapere quando è nato il termine perdono. Nel latino classico non si trova, ma è un termine diffuso nel latino volgare, anche se è riuscito ad entrare nella letteratura solo nel V secolo D.C. in una traduzione di una favola di Esopo da parte di un certo Romulus.

Il termine per-dono deriva probabilmente dall’espressione donare per gratia in cui la preposizione per intensifica il significato del dono rendendolo totale, il perdono va oltre il materiale ed include anche lo spirituale.

L’evoluzione dei termini dono, con-dono e per-dono mostra come si sia partiti da un significato materiale, per poi trascenderlo fino a recuperare la giustizia attraverso il perdono.

Quando possiamo parlare di ingiustizia?

Si commette un’ingiustizia quando si compie un atto dannoso volontariamente. Quando ciò accade si prova colpa. Quando l’uomo sa di essere ingiusto diventa capace di accettare la punizione, ma anche di aprirsi al perdono, cioè alla gratia.

La punizione serve a restituire una simmetria tra offeso e offensore, ma come sappiamo i procedimenti giudiziari spesso non fanno sentire che giustizia è stata fatta. Solo il perdono ha il potere di far tornare il colpevole nell’ambito della giustizia, ma non può far sì che offeso e offensore tornino alla relazione esistente prima della colpa.

Con il perdono la vittima si libera da una relazione con il colpevole dominata da emozioni spiacevoli come rabbia, rancore e odio. Con la vendetta invece non si ha il superamento di queste emozioni, ma la creazione di un circolo vizioso che le esacerba.

Il perdono è necessario affinché ci sia la speranza di guarire le ferite inflitte ingiustamente e di creare un nuovo rapporto tra le parti. Il perdono è un prerequisito per la riconciliazione, ma non la causa. Tra perdono e riconciliazione non c’è un rapporto biunivoco, si può perdonare senza riconciliarsi.

Nella storia della parola perdono troviamo tutti i temi fondamentali del sentiero che porta alla liberazione dalle emozioni legate all’ingiustizia subita: regalo, colpa, vendetta, riconciliazione, cambiamento intra e interpersonale.

E’ un sentiero laico, che riguarda ogni essere umano, ma che interessato la filosofia ed ha attraversato le grandi religioni monoteiste e quella buddhista. La ricerca scientifica sul perdono è cominciata infatti solo alla fine del secolo scorso.

Dobbiamo prenderci un po’ di tempo per vedere come il tema del perdono è visto dalle quattro religioni più diffuse, perché ci sarà utile per capire cosa è emerso dalla ricerca psicosociale.

Le concezioni religiose del perdono sono interessanti, perché favoriscono la comprensione dei vari aspetti del perdono in ambito psicosociale. Per cominciare le credenze religiose favoriscono una predisposizione al perdono, ma sono anche illuminanti, perché toccano gli aspetti cruciali e controversi che ritroviamo nelle nozioni psicosociali di perdono.

Leggi anche i prossimi articoli per cominciare a familiarizzare con il Processo terapeutico del perdono.

Se vuoi leggere di Perdono, vendetta e riconciliazione nelle grandi religioni, clicca qui

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Dr..sa Luigina Pugno

Il perdono come strumento psicoterapeutico è’ uno strumento laico, che riguarda ogni essere umano, ma che ha attraversato le grandi religioni monoteiste e quella buddhista, fino a rimanere segnato per secoli solamente nelle loro mappe.

La ricerca scientifica sul perdono è cominciata infatti solo alla fine del secolo scorso.

Prima di parlare di come si può usare il perdono come strumento terapeutico dobbiamo prenderci un po’ di tempo per vedere come il tema del perdono è visto dalle quattro religioni più diffuse, perché ci sarà utile per capire cosa è emerso dalla ricerca psicosociale.

Le concezioni religiose del perdono sono interessanti, perché favoriscono la comprensione dei vari aspetti del perdono in ambito psicosociale. Per cominciare le credenze religiose favoriscono una predisposizione al perdono, ma sono anche illuminanti, perché toccano gli aspetti cruciali e controversi che ritroviamo nelle nozioni psicosociali di perdono.

Ora prendiamo le mappe delle religioni e cominciamo a familiarizzare con il sentiero del perdono.

Cominciamo a percorrere il sentiero del Buddhismo. Sulla sua mappa non troviamo concretamente la parola perdono, ma esso si manifesta in molti concetti fondativi di questa religione, come la legge del Karma, il non attaccamento agli oggetti materiali e immateriali, e le virtù della tolleranza e della compassione. Secondo la legge del Karma il bene o il male che facciamo ci tornerà indietro in questa vita e in quelle successive, perciò bisogna astenersi dal compiere azioni lesive o dal nutrire emozioni e pensieri ostili anche se giustificati. Aiuta l’uomo in questo scopo la virtù della tolleranza, che consiste nell’accettare e sopportare ogni forma di sofferenza, anche quella causata da altri uomini. La non accettazione aggrava il proprio karma perché fa da precursore a comportamenti lesivi come la ritorsione e a sentimenti che affliggono come il risentimento. Rimanere attaccati alle offese subite, portandole nel nostro presente attraverso la ritorsione e la rabbia, accrescerà l’infelicità in questa vita e in quelle future. La tolleranza è quindi un atto egoistico volto a portare benessere nell’offeso. Oltre ad essa, aiuta l’uomo nel ridurre la sofferenza, la virtù della compassione. Tolleranza e compassione non coincidono con il perdono, ma lo includono. La compassione è rivolta alle sofferenze altrui e non alle proprie. Attraverso la compassione l’aggressore è visto come una persona sofferente, che ha commesso un’azione ingiusta e che ha bisogno di aiuto (Dharmapada v 5).

Ritroviamo la compassione buddhista verso l’aggressore nel sentiero del perdono quando per raggiungere questo obiettivo, la persona cambia la propria visione dell’aggressore attraverso l’empatia.

Ora davanti a noi il sentiero si divede in tre rami, quelli delle tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, islamismo e cristianesimo, che più di altre hanno insistito sul tema del perdono.

In queste tre religioni i rapporti umani dovrebbero tendere a riprodurre la relazione ideale tra l’uomo e Dio, relazione in cui il perdono svolge un ruolo centrale. Anzi il perdono è il punto di partenza: come Dio perdona agli esseri umani le sue mancanze, così gli esseri umani dovrebbero perdonarsele reciprocamente. Come scrive l’evangelista Giovanni, Gesù disse “chi è senza peccato scagli la prima pietra” (GV 8,7), ma nemmeno Gesù la scagliò. Per ottenere il perdono di Dio, bisogna perdonare. Poiché ogni essere umano è fallibile,ma fatto a immagine di Dio, è degno di rispetto.

Sulla mappa dell’ebraismo troviamo l’indicazione che il perdono deve essere meritato ed è quindi condizionato dal fatto che l’offensore si redima. Se non mostra pentimento il perdono è sconsigliato, perché esporrebbe ad altri atti ingiusti. Dall’altra parte, ottenere un perdono immeritato può incoraggiare il comportamento ingiusto. Ma se l’offensore si mostra pentito la vittima ha l’obbligo di perdonare. Nella Torah se il pentimento è autentico il colpevole mostra pubblicamente la sua colpa e dichiara di non commetterla più. Anche la vittima è obbligata a mostrare esplicitamente che non nutre più risentimento.

L’importanza data alla manifestazione della colpa e del perdono mette in luce l’aspetto interpersonale del perdono.

La tradizione ebraica ritiene che il comportamento manifesto possa favorire un cambiamento interiore, che manifestare pentimento e perdono portino a pentirsi e perdonare anche nel proprio cuore.

Proseguendo sulla mappa islamica troviamo un altro importante tema legato al perdono: la vendetta. L’islam ritiene la vendetta un comportamento legittimo, a condizione che sia proporzionata al torto subito. Poiché è difficile quantificare un’ingiustizia e una vendetta equa, è preferibile il perdono. Inoltre il perdono rende la vittima magnanima e la fa somigliare a Dio (Corano 42, 40)..

La vendetta è invece un peccato in ebraismo e cristianesimo.

Islam e cristianesimo sono invece concordi nel ritenere il perdono incondizionato e quindi indipendente dal pentimento e dal risarcimento.

Sulla mappa cristiana il perdono occupa più spazio. E’ la religione che più ha insistito su questo tema. Nella preghiera del padre nostro è descritto nelle parole: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori (MT 6, 10-12). Lo stesso Gesù sulla croce prega Dio dicendo: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Nel Vangelo la parola perdono è la traduzione della parola greca aphiemi che significa mettere in libertà. Il perdono libera dalla colpa e dalla sofferenza. Finché non si perdona si rimane legati alle catene dell’attaccamento.

Il Vangelo ci dà anche una indicazione di quante volte dovremmo perdonare (MT 18, 21-35) “In quel tempo Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: “Signore quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?” E Gesù gli rispose ”Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”.

L’unica misura del perdono è che è senza misura.

Ancora l’evangelista Matteo scrive “Sapete che è stato detto: ama i tuoi amici e odia i tuoi nemici. Ma io vi dico: amate anche i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano” (MT 5, 43-44). Questo significa non portare rancore, non alimentare pensieri e sentimenti ostili, ma anzi di pregare anche per chi ci fa del male.

Con il sentiero del Cristianesimo si ritorna su quello buddhista.

Tutte e tre le grandi religioni monoteiste fanno incrociare i loro sentieri in un punto: il tema della riconciliazione.

La riconciliazione non è una condizione per il perdono. Ci può essere perdono senza riconciliazione, ma il perdono precede sempre la riconciliazione genuina.

Sulle mappe religiose troviamo gli stessi tempi inerenti il perdono riscontrati nella ricerca psicosociale: compassione, relazione interpersonale, riconciliazione, libertà dalla sofferenza e vendetta.

Anche se il buddhismo e le grandi religioni monoteiste cominciano con un uomo, non solo la religione ci ha parlato del perdono, lo hanno fatto anche due uomini, che non hanno dato origine ad alcuna religione, ma che si sono battuti per la libertà, ed hanno utilizzato il perdono per mettere fine alla schiavitù e all’odio. Questi due uomini sono Gandhi e Mandela.

Gandhi ha detto: “I deboli non perdonano mai. Il perdono è l’attributo dei forti” e Mandela ha detto: “Il perdono libera l’anima, rimuove la paura. E’ per questo che il perdono è un’arma potente”.

Abbiamo camminato nella storia dell’etimologia e delle religioni. Sul sentiero del perdono abbiamo cominciato a confrontarci con altri importanti temi, che ora dobbiamo attraversare.

Se vuoi leggere com’è nato il perdono clicca qui

Cominciamo capendo cos’è e cosa non è il perdono.

Dr.ssa Luigina pugno

Lo studioso che più ci aiuta a percorre questo sentiero è Enright. Secondo lui il perdono si compone di alcune fasi.

Innazitutto per perdonare bisogna essere in quello che non avremmo dovuto vivere, dobbiamo riconoscere che quello che ci è stato fatto è un’ingiustizia e che non doveva essere compiuta.

Per poi passare a riconoscere gli effetti che quell’ingiustizia ha avuto su di noi, a livello concreto ed emotivo. Riconoscere le emozioni che si provano in seguito all’offesa, verso l’accaduto, verso l’offensore, verso altri e verso se stessi e riconoscere quante energie psichiche stiamo impiegando per far fronte all’offesa.

Si deve capire che le strategie di risoluzione precedentemente adottate non hanno funzionato e valutare se il perdono è un sentiero percorribile e se si, decidere di impegnarsi a perdonare l’offensore. Impegnarsi a perdonare implica mettere da parte ogni pretesa di vendetta, anche nelle sue forme più sottili (ad esempio parlar male dell’offensore)

A questo punto si lavora sull’accettazione della sofferenza e sulla trasformazione della rabbia.

Dopo essersi occupati di sé si comincia ad occuparsi dell’offensore lavorando sulla consapevolezza attraverso la conoscenza della sua storia e le forze che lo hanno fatto agire ingiustamente. Questo serve a vedere la persona oltre l’atto, a vedere la persona inserita in un contesto con una storia, a vedere la sua umanità. Se non riusciamo a vedere la sua umanità cadiamo nello stesso male.

Disse a tal proposito Martin Luther King jr:

“Questa reazione a catena del male – l’odio genera odio, guerre producono guerre – deve essere interrotta o ci ritroveremo immersi nell’abisso oscuro dell’annientamento. L’amore è l’unica forza capace di trasformare un nemico in amico. Per sua stessa natura, l’odio distrugge e abbatte; per sua stessa natura l’amore crea e costruisce”.

Quando si vede la persona e non solo il gesto, la sua storia, le sue motivazioni si passa a lavorare sulla compassione. L’empatia nasce quando le persone arrivano a comprendere gli altri, L’empatia può generare un senso di compassione per gli altri e per sé.

Ci si avvia verso la parte finale del sentiero e si rende necessario trovare un senso alla sofferenza, sia per sé sia per gli altri. Capire in che modo ci ha migliorati, ci ha aggiunto qualcosa. Forse ci ha reso più forti, più sensibili, più coraggiosi ecc.  Magari anche altri hanno ricevuto benefici dal nostro cambiamento.

Abbiamo detto che il perdono è un dono. Così quando i sentimenti si saranno trasformati, quando la sofferenza avrà lasciato il posto alla compassione, si comincerà a pensare di far qualcosa di positivo per l’altro. Senza quest’ultimo passaggio il perdono non è completo.

Dopo aver camminato anche su quest’ultimo tratto siamo pronti per perdonare.

Se vogliamo, oltre il perdono possiamo prendere anche delle decisioni,come comunicare o meno il perdono, riconciliarsi o meno con l’offensore.

Valutate le possibilità e le opportunità di queste decisioni, ognuno farà le sue scelte.

Siamo arrivati alla fine. Ora possiamo guardarci indietro. Vedere tutti i percorsi che abbiamo dovuto camminare per arrivare al traguardo del perdono. Per alcuni sarà stato come percorrere un sentiero semi conosciuto; per altri sarà stato come fare il pellegrinaggio di Compostela: lungo, ma fattibile; per altri ancora sarà stato come intraprendere il sentiero degli Appalachi senza allenamento e con le attrezzature tutte sbagliate. Per riuscire a camminare abbiamo usato le mappe e gli attrezzi dell’etimologia, della religione, della scienza, di un terapeuta e anche di chi ci circonda.

Rimane un’ultima riflessioni che puoi fare. Desiderando una vita migliore per te, per chi ami, magari hai già lavorato su di te per liberarti dalla sofferenza, ma da qualche parte la senti ancora lì, senti che non sei del tutto in pace. In questo caso, cosa ne diresti di prendere in considerazione il perdono?

Dr.ssa Luigina Pugno

Psicoterapeuta a torino

BIBLIOGRAFIA

Barcaccia B., Mancini F. Teoria e clinica del perdono, Raffaello cortina editore

Bertagni G. Il perdono nel cristianesimo e nel buddhismo

Bianchi E.Le vie della felicità. Gesù e le beatitudini

Boch B.  Il gioco del perdono Astrid editore

Dalai Lama La saggezza del perdono

Enright R. D. Il perdono è una scelta ed Salus

Jankelevitch V. Il perdono ed. IPL

King M. L. jr The strenght to love Fortress Press

Simeone M. N., Benedizione e perdono, autopubblicazione su Amazon

Worthington E., The power of forgiveness, ed Templeton Foundation Press Philadelphia London