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perdono e vendetta Archivi - Dott.ssa L. Pugno Psicoterapeuta a Torino
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perdono e vendetta

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Leggi anche la concezione del perdono nelle 4 maggiori religioni

Nella letteratura psicosociale manca una definizione concorde di cosa sia il perdono, ma ci sono dei punti di comunione.

Chi non sa cosa sia il perdono pensa che perdonare significhi:

  • Fingere che non sia successo nulla,
  • Mettersi nella condizione di essere feriti di nuovo,
  • Permettere all’altro, o a noi stessi, di non assumersi le proprie responsabilità,
  • Riconciliarsi con chi ci ha fatto del male
  • Rinunciare alla funzione catartica della vendetta

Il perdono non è:

  • Condonare, scusare, o giustificare, ma riconoscere che quello che è stato fatto era sbagliato e non deve ripetersi,
  • Dimenticare. Il perdono non produce amnesia, ma può modificare il modo in cui si ricorda il passato,
  • Giustificare, o ritenere quell’atto legittimo,
  • Condonare un’azione che ha portato a danni misurabili,
  • Scusare un’azione, che ha portato ad effetti negativi di modesta entità,
  • Un obbligo, ma una scelta.

Esiste anche lo pseudo perdono, che avviene quando si perdona una cosa di poco conto, per esempio quando si dice “ti perdono” per dimostrare la propria superiorità morale.

Che cos’è il perdono? La definizione che mi piace di più è quella di Enright, lo scienziato che ha maggiormente studiato questo tema: “il perdono è un dono che si fa a qualcuno che non se lo merita”.

Il perdono è:

  •  essenzialmente un processo che modifica e trasforma la persona che lo intraprende,
  • esso non modifica ciò che è successo, ma modifica il modo di vedere la persona nonostante quello che ha fatto;
  • inoltre diminuisce o elimina i sentimenti, i pensieri  e i comportamenti  negativi verso l’offensore,
  • il perdono porta a sviluppare sentimenti, pensieri e comportamenti positivi verso l’offensore,
  • permette di superare la rabbia, l’ira o il rancore. Siccome rimanere adirati dà potere a chi offende e nega la libertà alla vittima,
  • permette di uscire dallo status di vittima.

Quale rabbia permette di superare? Quella non sana, che è quella che dura nel tempo per una grande ingiustizia, o per tante piccole offese; quella diretta verso una o più persone e non verso il caso, o le circostanze; quella causata da una reale ingiustizia; quella che porta a comportamenti auto lesivi; quella che influisce sulla salute psicofisica.

Possiamo quindi dire che il perdono è motivato congiuntamente da due scopi; uno egoistico, portare serenità dentro di sé, ed uno altruistico, sgravare l’aggressore dal suo debito.

Prima di vedere le fasi che si attraversano durante il processo del perdono, facciamo chiarezza comprendendo la differenza tra condonare, scusare, giustificare e perdonare.

Come abbiamo detto prima il dono è un’azione che sancisce una relazione sociale di scambio. Il dono aggiunge qualcosa all’altro, potremmo dire che in un certo senso dando all’altro qualcosa in più rispetto a quello che aveva, lo arricchiamo. Quando l’altro non può dare nulla in cambio si crea un debito che può essere condonato. Quando l’azione dell’altro crea un danno misurabile, essa può essere scusata, la si può giustificare, cioè capire come mai è stata fatta, ma non si ritiene quell’atto legittimo, l’altro ne è sempre responsabile e deve assumersene la responsabilità. Quando l’azione lesiva riguarda un danno non quantificabile a livello materiale, ma è un danno esistenziale, esso non è più scusabile. L’inscusabile è perdonabile. Scriveva Jankelevitch: “L’azione che non trova avvocati per difenderla ha bisogno del perdono”.

L’azione della scusa e del perdono seguono vie diverse. La scusa calcola, misura i danni subiti e determina l’azione di scusare. Il perdono non è un prodotto razionale, non è frutto di un calcolo, è gratuito. Si perdona l’inscusabile per questo suscita una reazione di scandalo e per questo è difficile.

Il perdono si colloca nel tempo: guarda al passato senza poterlo cancellare, ma può far sì che gli effetti dell’azione (del male subito) mutino, che non produca rancore e di conseguenza altro male. Il rancore è il prodotto della memoria. Il perdono lavora sul rancore, sulle emozioni, non sulla memoria. Il tempo può far dimenticare l’evento, ma non cura le emozioni, solo il perdono può farlo. Solo il perdono risolve la rabbia e la sofferenza, blocca la spirale di odio e vendetta e porta la pace.

Possiamo paragonare il male ad un seme, che spesso dà un frutto: la vendetta, che come ogni frutto produce un nuovo seme e rende senza fine il ciclo male-vendetta. Il perdono non ha la capacità di annullare il seme del male, tuttavia può far sì che non nasca da esso il frutto della vendetta e altro male.

La ricerca psicosociale sulla vendetta conferma quanto appena detto. La vendetta non porta benessere a chi la attua. La vendetta e la sua pianificazione hanno un effetto boomerang. Se l’attuazione della vendetta può portare a conseguenze negative come l’odio tra famiglie (si veda in Romeo e Giulietta di Shakespeare i, o le continue vendette tra famiglie mafiose), problemi sociali, conseguenze legali e penali ecc., la sua pianificazione non è da meno. Da un punto di vista psicologico la persona rischia di rimanere intrappolata nella ruminazione rabbiosa. La ruminazione è il continuo ritornare della mente sugli eventi. In questo caso sulla ingiustizia subita e sull’offensore. Tale attività mentale si autoalimenta inasprendo lo stato mentale di partenza. La persona si ritrova consumata dalla rabbia. La ruminazione rabbiosa ha effetti anche sul fisico, perché disturba la qualità del sonno, e aumenta i livelli di cortisolo.

Anche quando si riesce ad attuare la vendetta, le ricadute psicologiche non sono positive.

Secondo la visione comune e occidentale la vendetta ha una funzione catartica rispetto alla sofferenza che si prova in seguito ad un’ingiustizia. Tale posizione è stata ampliamente smentita dalla ricerca scientifica (Bushman 2002). Sfogare la propria rabbia attraverso la vendetta la esacerba, perché porta ad un aumento della ruminazione sull’offensore. Negli esperimenti chi aveva perdonato aveva smesso di pensare all’accaduto, mentre chi aveva avuto la possibilità di vendicarsi aveva continuato a pensarci e a soffrirne. Credevano, a questo punto erroneamente, che se non l’avessero fatto si sarebbero sentiti peggio.

Quanto scoperto dalla ricerca sulla vendetta viene descritto in un episodio della seconda stagione della serie Glitch dove Kirstie ha la possibilità di vendicare il suo stupro e la sua morte, ma mentre sta per attuare la vendetta sul suo aggressore si rende conto che non avrebbe avuto nessuna funzione catartica e vi rinuncia.

Se non perdonare, o vendicarsi non ha effetti positivi, quali effetti positivi ha il perdono?

La ricerca psicosociale su chi perdona ha evidenziato effetti positivi a livello fisico, psicologico e interpersonale. A livello psicologico si sono evidenziati la diminuzione, o scomparsa di sentimenti, pensieri e comportamenti negativi verso l’offensore, e al contrario sviluppa sentimenti, pensieri o comportamenti neutri, o positivi verso di lui. A livello fisico migliora la qualità della vita e del sonno, i livelli di cortisolo, la pressione arteriosa, il sistema immunitario.

Va bene, ora che abbiamo capito cos’è il perdono e cosa non è, che il perdono non si attua con la formula “io ti perdono”, ma che è un processo di cambiamento, gli effetti negativi che il mancato perdono può avere sulla mia e altrui vita e gli effetti positivi che ha perdonare, come faccio a perdonare?

Leggi anche le Fasi del perdono secondo il dottor Enright

Dr.ssa Luigina Pugno

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Il perdono come strumento psicoterapeutico è’ uno strumento laico, che riguarda ogni essere umano, ma che ha attraversato le grandi religioni monoteiste e quella buddhista, fino a rimanere segnato per secoli solamente nelle loro mappe.

La ricerca scientifica sul perdono è cominciata infatti solo alla fine del secolo scorso.

Prima di parlare di come si può usare il perdono come strumento terapeutico dobbiamo prenderci un po’ di tempo per vedere come il tema del perdono è visto dalle quattro religioni più diffuse, perché ci sarà utile per capire cosa è emerso dalla ricerca psicosociale.

Le concezioni religiose del perdono sono interessanti, perché favoriscono la comprensione dei vari aspetti del perdono in ambito psicosociale. Per cominciare le credenze religiose favoriscono una predisposizione al perdono, ma sono anche illuminanti, perché toccano gli aspetti cruciali e controversi che ritroviamo nelle nozioni psicosociali di perdono.

Ora prendiamo le mappe delle religioni e cominciamo a familiarizzare con il sentiero del perdono.

Cominciamo a percorrere il sentiero del Buddhismo. Sulla sua mappa non troviamo concretamente la parola perdono, ma esso si manifesta in molti concetti fondativi di questa religione, come la legge del Karma, il non attaccamento agli oggetti materiali e immateriali, e le virtù della tolleranza e della compassione. Secondo la legge del Karma il bene o il male che facciamo ci tornerà indietro in questa vita e in quelle successive, perciò bisogna astenersi dal compiere azioni lesive o dal nutrire emozioni e pensieri ostili anche se giustificati. Aiuta l’uomo in questo scopo la virtù della tolleranza, che consiste nell’accettare e sopportare ogni forma di sofferenza, anche quella causata da altri uomini. La non accettazione aggrava il proprio karma perché fa da precursore a comportamenti lesivi come la ritorsione e a sentimenti che affliggono come il risentimento. Rimanere attaccati alle offese subite, portandole nel nostro presente attraverso la ritorsione e la rabbia, accrescerà l’infelicità in questa vita e in quelle future. La tolleranza è quindi un atto egoistico volto a portare benessere nell’offeso. Oltre ad essa, aiuta l’uomo nel ridurre la sofferenza, la virtù della compassione. Tolleranza e compassione non coincidono con il perdono, ma lo includono. La compassione è rivolta alle sofferenze altrui e non alle proprie. Attraverso la compassione l’aggressore è visto come una persona sofferente, che ha commesso un’azione ingiusta e che ha bisogno di aiuto (Dharmapada v 5).

Ritroviamo la compassione buddhista verso l’aggressore nel sentiero del perdono quando per raggiungere questo obiettivo, la persona cambia la propria visione dell’aggressore attraverso l’empatia.

Ora davanti a noi il sentiero si divede in tre rami, quelli delle tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, islamismo e cristianesimo, che più di altre hanno insistito sul tema del perdono.

In queste tre religioni i rapporti umani dovrebbero tendere a riprodurre la relazione ideale tra l’uomo e Dio, relazione in cui il perdono svolge un ruolo centrale. Anzi il perdono è il punto di partenza: come Dio perdona agli esseri umani le sue mancanze, così gli esseri umani dovrebbero perdonarsele reciprocamente. Come scrive l’evangelista Giovanni, Gesù disse “chi è senza peccato scagli la prima pietra” (GV 8,7), ma nemmeno Gesù la scagliò. Per ottenere il perdono di Dio, bisogna perdonare. Poiché ogni essere umano è fallibile,ma fatto a immagine di Dio, è degno di rispetto.

Sulla mappa dell’ebraismo troviamo l’indicazione che il perdono deve essere meritato ed è quindi condizionato dal fatto che l’offensore si redima. Se non mostra pentimento il perdono è sconsigliato, perché esporrebbe ad altri atti ingiusti. Dall’altra parte, ottenere un perdono immeritato può incoraggiare il comportamento ingiusto. Ma se l’offensore si mostra pentito la vittima ha l’obbligo di perdonare. Nella Torah se il pentimento è autentico il colpevole mostra pubblicamente la sua colpa e dichiara di non commetterla più. Anche la vittima è obbligata a mostrare esplicitamente che non nutre più risentimento.

L’importanza data alla manifestazione della colpa e del perdono mette in luce l’aspetto interpersonale del perdono.

La tradizione ebraica ritiene che il comportamento manifesto possa favorire un cambiamento interiore, che manifestare pentimento e perdono portino a pentirsi e perdonare anche nel proprio cuore.

Proseguendo sulla mappa islamica troviamo un altro importante tema legato al perdono: la vendetta. L’islam ritiene la vendetta un comportamento legittimo, a condizione che sia proporzionata al torto subito. Poiché è difficile quantificare un’ingiustizia e una vendetta equa, è preferibile il perdono. Inoltre il perdono rende la vittima magnanima e la fa somigliare a Dio (Corano 42, 40)..

La vendetta è invece un peccato in ebraismo e cristianesimo.

Islam e cristianesimo sono invece concordi nel ritenere il perdono incondizionato e quindi indipendente dal pentimento e dal risarcimento.

Sulla mappa cristiana il perdono occupa più spazio. E’ la religione che più ha insistito su questo tema. Nella preghiera del padre nostro è descritto nelle parole: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori (MT 6, 10-12). Lo stesso Gesù sulla croce prega Dio dicendo: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Nel Vangelo la parola perdono è la traduzione della parola greca aphiemi che significa mettere in libertà. Il perdono libera dalla colpa e dalla sofferenza. Finché non si perdona si rimane legati alle catene dell’attaccamento.

Il Vangelo ci dà anche una indicazione di quante volte dovremmo perdonare (MT 18, 21-35) “In quel tempo Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: “Signore quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?” E Gesù gli rispose ”Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”.

L’unica misura del perdono è che è senza misura.

Ancora l’evangelista Matteo scrive “Sapete che è stato detto: ama i tuoi amici e odia i tuoi nemici. Ma io vi dico: amate anche i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano” (MT 5, 43-44). Questo significa non portare rancore, non alimentare pensieri e sentimenti ostili, ma anzi di pregare anche per chi ci fa del male.

Con il sentiero del Cristianesimo si ritorna su quello buddhista.

Tutte e tre le grandi religioni monoteiste fanno incrociare i loro sentieri in un punto: il tema della riconciliazione.

La riconciliazione non è una condizione per il perdono. Ci può essere perdono senza riconciliazione, ma il perdono precede sempre la riconciliazione genuina.

Sulle mappe religiose troviamo gli stessi tempi inerenti il perdono riscontrati nella ricerca psicosociale: compassione, relazione interpersonale, riconciliazione, libertà dalla sofferenza e vendetta.

Anche se il buddhismo e le grandi religioni monoteiste cominciano con un uomo, non solo la religione ci ha parlato del perdono, lo hanno fatto anche due uomini, che non hanno dato origine ad alcuna religione, ma che si sono battuti per la libertà, ed hanno utilizzato il perdono per mettere fine alla schiavitù e all’odio. Questi due uomini sono Gandhi e Mandela.

Gandhi ha detto: “I deboli non perdonano mai. Il perdono è l’attributo dei forti” e Mandela ha detto: “Il perdono libera l’anima, rimuove la paura. E’ per questo che il perdono è un’arma potente”.

Abbiamo camminato nella storia dell’etimologia e delle religioni. Sul sentiero del perdono abbiamo cominciato a confrontarci con altri importanti temi, che ora dobbiamo attraversare.

Se vuoi leggere com’è nato il perdono clicca qui

Cominciamo capendo cos’è e cosa non è il perdono.

Dr.ssa Luigina pugno